In dieci episodi la docu-serie ci porta dietro le quinte di una delle più importanti squadre della storia dell'NBA
Per raccontare l’epopea dei Chicago Bulls, che con Jordan negli anni Novanta hanno portato all’NBA una visibilità internazionale senza precedenti, la docu-serie del regista Jason Hehir si concentra sulla stagione del 1997/98. È stata l’ultima vittoria dei Bulls di MJ, del secondo violino Scottie Pippen, di Dennis Rodman e dell’allenatore Phil Jackson, il momento in cui la squadra che ha portato Chicago per la prima volta a vincere sei titoli in meno di dieci anni comincia a sfaldarsi. Ad arricchirne il racconto sono le riprese di una troupe di giornalisti che in quella stagione, con accessi esclusivi, ha seguito la franchigia dell’Illinois nel suo ultimo glorioso capitolo.
È The Last Dance, l’ultimo ballo, ma inevitabilmente il documentario tocca anche le stagioni precedenti, il primo three-peat (tre vittorie di fila) dei Bulls, dal 1991 al 1993, il ritiro di Jordan, le dinamiche interne e le rotture tra la squadra e la società, in un racconto che va ben oltre il mito.
Michael Jordan, icona sportiva
Impossibile descrivere quelle stagioni dei Chicago Bulls, o l’NBA degli anni Novanta, senza che la figura di Michael Jordan emerga dalla narrazione come l’eroe sportivo che è stato (ed è tutt’ora), paragonato a icone storiche come l’inarrivabile Muhammad Ali. Si impone nelle interviste come nei flashback, nei vecchi filmati, che ci portano indietro fino ai tempi in cui giocava per la squadra dell’University of North Carolina, passando per le selezioni dell’NBA, quando nell’84 entra nella rosa dei Bulls, fino al ritiro nel ’93 in seguito alla morte del padre e gli anni del baseball. E fino a the shot, l’ultimo canestro di Jordan che ha fatto vincere Chicago nel ’98.