Genova, il crollo della modernità


Il libro sul Morandi che interrompe l'autocelebrazione

Scritto da architetti, sociologi, antropologi ed economisti critica l'assenza di visione del progetto di ricostruzione e il ruolo di "Renzo Piano Architetto del potere"


Il libro appena uscito “Genova: il crollo della modernità” (edizioni Manifestolibri) proietta il lettore in tutt'altro clima rispetto a quello celebrativo ed autocelebrativo che ha accompagnato la fase della ricostruzione del nuovo viadotto sul Polcevera, giunta quasi al suo culmine. Semplificazione, dirigismo, scelte unilaterali vengono lasciano spazio nelle pagine del volume a complessità, critica ragionata e discussione.
Genova: il crollo della modernità è stato curato da Emanuele Piccardo, architetto, fotografo film maker impegnato in progetti sociali e di arti visive. Con lui hanno scritto i capitoli che lo compongono architetti, sociologi, economisti, antropologi: Massimo Ilardi, Emiliano Ilardi, Antonio Lavarello, Andrea Vergano, Andrea Acquarone, Massimo Canevacci, Luigi Mandraccio, Agostino Petrillo.

Il libro, attraverso una lettura interdisciplinare, architettonica, urbanistica, sociologica, antropologica, mediatica, politico economica, analizza le reazioni dei diversi soggetti coinvolti (popolazione, architetti, politici, amministratori, giornalisti) rispetto alla tragedia del crollo, alla sua necessaria ricostruzione, ai meccanismi comunicativi.

Diciamo subito che pur nella particolarità della situazione e nella sua innegabile urgenza, le valutazioni complessive non sono positive. I principali nodi critici sono rappresentati da una serie di scelte che, secondo gli autori, in nome dell’efficienza e della fretta hanno sacrificato al progetto il dibattito, un orizzonte pianificatorio più ampio, il confronto delle idee, l’accettazione della critica come strumento di crescita, e infine anche l’occasione che il nuovo ponte, inserito in una visione più estesa, potesse davvero rappresentare per la città un monumento, un segno come, va detto nonostante l’ingloriosa fine, lo era stato il Morandi per l’Italia degli anni ‘60.


                                                                   ex Ponte Morandi
Poichè molti degli autori del libro appartengono alla stessa categoria professionale, molte pagine sono dedicate al ruolo dell’architetto Renzo Piano, progettista del nuovo viadotto. Il libro di Piccardo e compagni rappresenta una vera e propria cesura nel processo di santificazione mediatica dell’archistar genovese. Ecco uno, dei non pochi, passaggi esemplificativi: “Alla fine prevale il progetto dell’Architetto del Potere (Piano),come fu Bramante per Papa Giulio II, un ritorno al passato rinascimentale dove il popolo era sottomesso al volere del Principe”.



                                                     Il nuovo ponte di Renzo Piano

Il libro parte dall'inizio, dagli effetti del crollo sull'intera comunità: “In un solo istante crolla metaforicamente l’idea dello Stato assistenzialista e democristiano, committente di quell’opera pubblica, ma e? anche il crollo della ideologia della modernita? e dell’ottimismo del boom economico”.
Subito dopo, scrive Piccardo, scatta “la propaganda della classe politica al governo della citta? e della Regione ha creato un flusso di parole con l’unico obiettivo di dimostrare una presunta efficienza, per essere altro dalla precedente amministrazione di centro- sinistra e rimuovere ogni azione da essa promossa”.E nella rappresentazione il sindaco Bucci diventa il “super eroe”.

Quindi eccoci alla fase progettuale, durante la quale “I media hanno enfatizzato il ruolo svolto dall’Architetto che salva la sua citta?, ma soprattutto salva la classe politica al potere dal prendersi la responsabilita? di agire esprimendo un progetto politico per Genova. Infatti questa narrazione mediatica leghista, erede del celodurismo, ha sterilizzato ogni possibile discussione, riflessione, pensiero critico”.
E più avanti “l’emergenza sembra essere diventata l’unica fonte di legittimazione dell’agire politico, l’unico conte sto in cui puo? emergere il sovrano e prendere rapidamente delle decisioni...”.



Nel libro si analizza anche come la ricerca del colpevole, l'individuazione – prima di qualunque processo o sentenza – dei cattivi, specie quelli ricchi come i Benetton consenta a una parte politica di tornare ins ella per “riportare la situazione alla normalita? attraverso la legislazione di emer- genza e i commissari straordinari”.
Risultato: “qualsiasi riflessione sul futuro di Genova innescata dal crollo, e? stata subito ingoiata – anche mediaticamente – dalle decisioni del commissario straordinario”.

Il libro legge anche la tragedia di Genova dal punto di vista antropologico, i suoi effetti sulla psicologia di una comunità e poi affronta anche, con Andrea Acquarone attraverso la lente delll'euroregionalismo, un tema più politico, e trasversale, riguardante le risorse della portualità sottratte alla Liguria dalla fiscalità statale. Addirittura si spinge fino a un'ipotesi che si può sposare o ritenere populista: “...se Genova e la Liguria fossero state nella condizione di decidere e finanziare autonomamente il loro adeguamento infrastrutturale il disastro non si sarebbe probabilmente prodotto...”.



di MARCO PREVE